Le mot juste sulla Luna, tra improvvisazione e propaganda

È morto Tito Stagno, il giornalista che raccontò in diretta televisiva agli italiani lo sbarco sulla Luna. “Ha toccato! Ha toccato il suolo lunare”, fu il suo celebre annuncio del 20 luglio del 1969. Applausi scroscianti in studio, momenti di grande emozione. Poi, di sottofondo si sentì la voce di Ruggero Orlando che diceva: “No, non ha toccato”.

Confusione generale, poi Tito Stagno che riprende a parlare: “Signori, sono le 22 e 17 in Italia, sono le 15 e 17 a Houston, sono le 14 e 17 e New York. Per la prima volta un veicolo pilotato dall’uomo ha toccato un altro corpo celeste. Questo è frutto dell’intelligenza, della preparazione scientifica, è frutto della fede dell’uomo. A voi Houston”.

E così l’allunaggio – che io a due anni stavo seguendo con attenzione davanti al televisore, lo raccontava sempre mia madre perché ancora all’epoca pensava che fossi intelligente, oggi non lo pensa più e quindi ha smesso di raccontarlo – avvenne con un certo imbarazzo, con applausi che lo coprivano, l’imbarazzo non l’allunaggio, e la faccia di Tito Stagno che la diceva lunga sul fastidio provato in diretta televisiva.

Piccolo battibecco con Houston, poi tutto si aggiustò. Alla fine dalle analisi successive della registrazione emerse che Tito Stagno annunciò l’allunaggio con cinquantasei secondi di anticipo e Ruggero Orlando lo fece con dieci secondi di ritardo. Ma eravamo gente semplice, al Festival di Sanremo avevano vinto Bobby Solo e Iva Zanicchi con la canzone Zingara, la Fiorentina a maggio si era laureata campione d’Italia e la Lazio aveva vinto il campionato di Serie B.

Tito Stagno già nel 1961 si era occupato di temi spaziali e fu il telecronista che commentò il primo volo del cosmonauta sovietico Gagarin intorno alla Terra. Poi, nel 1966, alla vigilia del Programma Apollo, Stagno fu inviato negli Stati Uniti per un viaggio di studio e di aggiornamento e fu così che conobbe gli artefici principali della conquista della Luna informandosi su quanto sarebbe accaduto più avanti, quando l’uomo avrebbe raggiunto il nostro satellite. Chissà se già all’epoca il nostro giornalista iniziò a pensare a qualche frase a effetto da dire agli italiani in diretta televisiva, la frase giusta da tramandare ai posteri (sono sicuro che non avrebbe mai pensato al siparietto televisivo con Ruggero Orlando).

Di sicuro alla frase importante da dire al momento dello sbarco sulla Luna ci pensò la rivista Esquire che proprio per l’uscita del luglio 1969 ebbe l’idea geniale di chiedere a personaggi famosi che cosa avrebbe dovuto dire il primo astronauta nel fatidico momento.

Indubbiamente in America c’era una grande attesa attorno allo storico avvenimento: le missioni Apollo rappresentavano un successo culturale e mediatico, dal momento che nella prima metà del 1969 ve ne fu una nuova ogni sessanta giorni, una più rischiosa e avventurosa dell’altra e mentre si avvicinava lo sbarco sulla Luna, tutti si chiedevano cosa avrebbero detto gli astronauti, i primi umani a mettere piede in un luogo diverso dalla Terra nel sistema solare.

Il titolo della storia di Esquire era “Le Mot Juste for the Moon”, ovvero “La parola giusta per la Luna”, citando Gustave Flaubert, il quale disse che la maggior parte della scrittura consisteva nel trovare “le mot juste ”. Tra il serio e il faceto, Esquire – che indubbiamente non riponeva grandi speranze nella genialità dei suoi astronauti – ottenne un gran numero di risposte che probabilmente sarebbero potute essere persino più evocative di quello che disse Neil Armstrong: “That’s one small step for man, one giant leap for mankind”. Le stesse prime parole di Aldrin forse si ricordano meno bene, ma allo stesso modo risuonano attraverso i decenni poco entusiasmanti: “Beautiful view. Magnificent desolation”.

E allora, ecco correre in aiuto degli astronauti ben sessantuno personalità del mondo della cultura e dello spettacolo, pronte a suggerire il motto giusto agli astronauti, dal momento che la preoccupazione dell’Esquire non era tanto la perdita di qualche astronauta ma che gli stessi avessero riempito il vuoto intergalattico di sciocchezze e di chiacchiere inutili, uccidendo l’inglese, s’intende la lingua.

E così alcuni tra gli intervistati cercarono frasi a effetto, significative, come la filosofa e scrittrice libertaria Ayn Rand, che suggerì: “What hath man wrought!” (Che lavoro ha fatto l’uomo!), o Gwendolyn Brooks, poetessa vincitrice del Premio Pulitzer che disse: “Here there shall be peace and love” (Qui ci saranno pace e amore), mentre altri personaggi scelsero motti divertenti, come John Kenneth Galbraith, economista di Harvard il quale propose: “We will hafta pave the damn thing” (Dovremo spianare quella dannata cosa), come lo scrittore Truman Capote che rispose “If I were the first astronaut on the Moon my first remark would be: So far so good” (Fin qui tutto bene), o Isaac Asimov, grande scrittore di fantascienza che propose “Goddard, we are here!” come tributo a Robert Hutchings Goddard, che fu il padre di tutto questo, dal momento che nel 1926 lanciò il primo razzo a propellente liquido.

Ma il più divertente tra i vari personaggi coinvolti rimane Muhammad Ali, che un po’ confuso, non offrì un motto per gli astronauti sulla Luna, ma fornì istruzioni: “Bring me back a challenger, ’cause I’ve defeated everyone here on Earth”.

Insomma il viaggio sulla Luna che da sempre aveva affascinato l’uomo, da Ludovico Ariosto con l’Orlando Furioso (interessante il mot just che il cardinale Ippolito d’Este gli rivolse quando lesse l’opera: “Messere Lodovico, dove mai avete pigliato tante castronerie?”) a Jules Verne, da Albert Robida con il suo Saturnino Farandola a Italo Calvino, era giunto al suo momento più importante. La frase a effetto per certificare il momento assoluto.

In verità ci aveva già pensato Totò che nel 1958, con netto anticipo sulla tabella di marcia fu spedito sulla Luna da Steno. È di quell’anno la pellicola intitolata “Totò nella Luna”, film esilarante in pieno clima di guerra fredda e fascinazione fantascientica, in cui Totò e Ugo Tognazzi (fattorino con velleità da scrittore di romanzi di fantascienza) vengono coinvolti in una storia degna di Urania, la collana di fantascienza di Mondadori nata nel 1952.

Appena giunto sulla Luna, Totò ha davvero le mot juste per l’occasione quando, scendendo le scalette della navicella spaziale, dice: “Ma guarda un po’, alla mia età andare a finire sulla Luna, che di questa stagione sono abituato ad andare a Capri”.

Motto azzeccato ma mai quanto quello studiato dalla propaganda sovietica che, in occasione del viaggio di Yuri Gagarin pubblica un manifesto con un cosmonauta che tra le stelle scruta lontano, sovrastando le guglie di una chiesa e afferma con ardore tutto socialista: Бога нет, “Non c’è nessun Dio”.

Oggi Tito Stagno è andato al Suo cospetto.

 

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